Il Monte Rushmore e la «palese profanazione»

Il Monte Rushmore e la «palese profanazione»

La scena sul monte Rushmore è una delle più famose ambientazioni di Hitchcock, la realizzazione di un vecchio desiderio: “celebrare quelle facce gigantesche e impassibili”.

A tal proposito ricordiamo i problemi che Hitchcock ebbe con la censura, proprio per l’utilizzo del Monte Rushmore e la «palese profanazione» ai presidenti americani, tanto che il direttore di un giornale, incollerito, suggerì: «Il signor Hitchcock torni a casa sua in Inghilterra e disegni persone che sgambettano sulla faccia della regina».

«A causa del veto governativo», spiegò più tardi Hitchcock, «ci dissero in maniera tassativa che potevamo solo far scivolare i personaggi fra le teste dei presidenti. Dicevano che dopotutto quello era il santuario della democrazia».

Questo monumento tanto amato dagli americani, deve gran parte del suo fascino alla singolare fusione che in esso si realizza fra creazione umana e paesaggio, fra mondo animale, vegetale e minerale.

«Gli enormi volti scolpiti sfumano nel paesaggio circostante che diviene la loro prosecuzione materiale […].

È come se la civiltà statunitense, non paga di eternare nella pietra i propri ideali, volesse perfino trasformarli in natura» .

Per le riprese in interno il regista si affidò a Robert Boyle (che aveva costruito i set di Sabotatori e Ombra del dubbio) e, nonostante dovettero utilizzare dei modellini al posto delle facce del Monte Rushmore «a condizione che apparissero solo di spalle, o la parte sotto il mento», i due riuscirono a lavorare alle inquadrature in maniera tale da non sacrificare nulla.

Ricorda Boyle: «Nessuno fra i registi con cui avevo lavorato conosceva così a fondo la tecnica cinematografica. Molti ne sapevano abbastanza, ma non avevano la sua capacità. Cercava sempre di esporre i fatti visivamente e non sprecava mai un fotogramma».

Nell’ultima scena Hitchcock beffa genialmente la censura: nuovamente insieme in un vagone letto, Roger abbraccia Eve e, mentre scorrono i titoli di coda, il treno si infila nel tunnel.

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Sara Soliman