Complotto di famiglia: nell’ultimo film di Hitchcock la rivisitazione dei suoi film più celebri

Complotto di famiglia: nell’ultimo film di Hitchcock la rivisitazione dei suoi film più celebri

Complotto di famiglia è un film che, di tanto in tanto, amo rivedere, proprio perché in esso Hitch rivisita alcuni tra i suoi film più riusciti.

Complotto in famiglia (o Family Plot), uscito nel 1976 è l’ultimo film del regista: un giallo pieno di suspense tratto dal romanzo del 1972 «Intrigo di famiglia» di Victor Canning.

Nel film ritroviamo molti frammenti dell’universo hitchcockhiano: il tema del doppio, il caso, i travestimenti. Ma anche il tema della finzione, l’istituzione famiglia e le difficili relazioni all’interno di essa.

Il film inizia con due storie presentate in parallelo e che sembrano non aver nulla in comune, poi le due storie si avvicinano e s’incastrano l’una nell’altra, per formarne una sola.

Nel film il regista fa la sua ultima comparsa: una silhuette immobile che si  intravede attraverso la porta a vetri dell’ufficio anagrafe della contea.

La porta reca la scritta «Ufficio delle Nascite e delle Morti». 

cameo Hitchcock

Cameo in Family Plot

 

Rivisitazione di film celebri

Interessante notare anche come Hitchcock rivisiti in Family Plot alcuni suoi film, quasi a voler fare del film un testamento.

Per iniziare, l’appuntamento fissato da una persona che poi non si presenta (vittime sono i due protagonisti ingenui ed ignari, Blanche e George), chiara citazione da North by Northwest.

Poco dopo, la divertentissima sequenza della corsa in discesa della macchina senza freni di Blanche e George, fra suspense e umorismo, ricorda altre celebri corse in macchina, come quelle in To Catch a Thief o North by Northwest.

La sequenza in cui Blanche sta per strangolare George appendendosi alla sua cravatta è un’ironica citazione di Frenzy.

L‘inseguimento al cimitero ricorda il pedinamento di Madeleine da parte di Scottie in Vertigo. 

Il garage di Adamson si trova in Via Norman Bates: evidente l’ironico richiamo a Psycho.

Nella scena finale, lo studio da cui George telefona alla polizia è lo stesso in cui avviene la telefonata e l’omicidio in Deal M for Murder, la casa della coppia.

 

Family Plot

Family Plot, Blanche e George

 

Se c’è un messaggio che dovremmo comprendere è che nei film di Hitchcock nulla è lì per caso, ogni piccolo dettaglio ha il suo perché.

Hitch si congeda dal suo pubblico in modo spiritoso, con leggerezza ed eleganza: l’ultima inquadratura è il primo piano di Blanche che fa l’occhiolino allo spettatore.

Di «occhiolini» metaforicamente complici con lo spettatore il cinema di Hitchcock è pieno, ma mai la cosa era stata esplicita a livello di immagine.

E il Maestro del brivido si lascia a questa sorta di pubblica confessione nell’ultima inquadratura di una filmografia cinquantennale.

Family Pot è infatti l’ultima fatica di un uomo che aveva dedicato la sua vita al cinema, realizzando la bellezza di 53 film in 51 anni, oltre a 20 episodi televisivi e a qualche cortometraggio.

 

Scopri l’intera filmografia di Hitchcock, suddivisa tra il periodo inglese e il periodo americano con i grandi capolavori.

 

Sara Soliman
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Copywriter AEsse Communication


Frame: fonte the.hitchcock.zone.
The Hitchcock Zone è una raccolta di siti Web e blog relativi alla vita e alla carriera del regista Alfred Hitchcock. Interessante in quanto contiene ogni singolo frame di tutti i film di Hitch.

Alfred Hitchcock e i suoi “preziosi” cameo: un marchio discreto e una promessa d’immortalità

Alfred Hitchcock e i suoi “preziosi” cameo: un marchio discreto e una promessa d’immortalità

Non c’è agosto che si rispetti in cui, grazie al tempo libero a disposizione e complice il caldo afoso, non trovi piacevole trascorrere intere giornate a riguardare la filmografia di Hitchcock.

Agosto poi è il mese di nascita di Hitch. Esattamente il 13 agosto del 1989 nasceva a Leytonstone (East End) nella periferia di Londra, quello che sarebbe stato definito in futuro “il maestro del brivido”, Allfred Htchcock. 

Per celebrarlo, facciamo un viaggio alla scoperta dei suoi cameo cinematografici: da Notorious a Intrigo Internazionale, da La donna che visse due volte a Psyco, da Il Caso Paradine a Gli Uccelli, solo per citarne alcuni.

Alcuni sono famosissimi, sicuramente li avrai notato anche tu.

Ma sei sicuro di conoscerli tutti?

 

Hitch cameo

Frenzy. Hitch si confonde nella folla sulle rive del Tamigi

 

Cameo: marchio discreto e indelebile

Quello di apparire nei suoi film era un vezzo che il regista inglese spiegava così al regista francese Truffaut, nel suo celebre libro-intervista:

“Era strettamente funzionale, perché bisognava riempire lo schermo. Più tardi è diventata una superstizione e infine una gag. 

Comunque oggi è una gag abbastanza ingombrante, e per permettere alla gente di vedere il film con tranquillità, mi preoccupo di farmi notare nei primi cinque minuti.”

Questi cameo erano e sono ancora un marchio indelebile dei suoi film: un marchio discreto, veloce e rispettoso dello spettatore.

Le sue apparizioni e le autocitazioni, più che la rivendicazione di un’artista sono, secondo Italo Moscati: 

Un francobollo rubato alla natura stessa del cinema: un timbro per sempre, una scommessa di immortalità.

 

cameo Alfred Hitchcock

Alcuni tra i più significativi cameo: North by Northwest, To Catch a Thief, Family Plot, Vertigo, Torn Curtain, Rear Window, Topaz, Marnie.

 

Cameo: tutte le apparizioni di Hitch

La prima apparizione fu casuale, solo perché si doveva riempire lo schermo: di spalle, nella redazione di un giornale, in The Logder (1926), il suo terzo film.

Ma col tempo, l’apparizione di Hitchcock diventa una superstizione e poi un obbligo. E da Rebecca appare su ogni suo film.

Il regista ha detto a Truffaut:

“Oggi per permettere alla gente di vedere il film in pace mi preoccupo di farmi notare nei primi 5 minuti”.

Per due volte incontra un suo protagonista in una stazione (Il caso Paradine e L’altro uomo).

Spesso attraversa la strada (Il sospetto, davanti a Joan Fontaine, Nodo ala gola, nella prima inquadratura, La congiura degli innocenti).

Altre passeggia sul marciapiede (Murder, Il club dei trentanove, Il prigioniero di Amsterdam, Il signore e la signora Smith, Paura in palcoscenico, La donna che visse due volte”) o si confonde tra la folla (a Marrakeck in L’uomo che sapeva troppo e sulla riva del Tamigi in “Frenzy”).

Una volta ha i baffi (il cowboy che porta la lettera in Sabotatori), una un cappello da texano (davanti all’ufficio di Marion in Psyco), una gabbia di uccelli (seduto sull’autobus di fianco a Cary Grant in Caccia al ladro) e una coppia di fox-terrier uscendo da un negozio (Gli uccelli).

Nei film chiusi in un solo ambiente lo ritroviamo in una foto su un giornale che pubblicizza una dieta dimagrante, nella scialuppa di I prigionieri dell’oceano e in una foto di vecchi compagni di scuola di Ray Milland nell’appartamento di “Il delitto perfetto”.

Altri simpatici cameo sono quelli di L’ombra del dubbio (il giocatore con tredici picche in mano in una partita di bridge su un treno), di Notorius (l’invitato alla festa di Sebastian che beve una coppa di champagne in un sorso), di La finestra sul cortile (l’uomo che ripara la pendola nella casa del musicista).

L’ultima sua comparizione, in Complotto di famiglia, è una firma: solo la sua inconfondibile silhouette nera, dietro il vetro di un ufficio dell’anagrafe (foto di copertina).

 

 

 

Buona visione!

Leggi anche: The Birds e la pandemia da Covid-19. Riflessioni sul rapporto uomo-animale nel 40°anniversario della morte di Alfred Hitchcock

 

Sara Soliman
www.aessecommunication.it

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Truffaut riabilita il cinema di Hitchcock

Truffaut riabilita il cinema di Hitchcock

Truffaut scrive, nell’introduzione della sua celebre intervista ad Alfred Hitchcock:

Il cinema di Alfred Hitchcock non è sempre esaltante, ma arricchisce sempre, se non altro per la grandissima lucidità con la quale denuncia le offese fatte dagli uomini alla bellezza e alla purezza.

Se siamo disposti ad accettare l’idea che il cinema non sia inferiore alla letteratura credo sia necessario classificare Hitchcock (..) nella categoria degli artisti inquieti come Kafka, Dostoevskij, Poe.

Questi artisti dell’angoscia non possono evidentemente aiutarci a vivere, perché vivere per loro è già difficile, ma la loro missione è di dividere con noi le loro ossessioni.

Con questo, anche ed eventualmente senza volerlo, ci aiutano a conoscerci meglio, il che costituisce un obiettivo fondamentale di ogni opera d’arte [1].

Il libro di Truffaut, basato sulle trascrizioni di una serie di interviste che si svolsero nel corso di una settimana nell’agosto del 1962, è un monumento importante nella costruzione dell’immagine pubblica e della reputazione di Hitchcock.

Ma è anche una riabilitazione della sua arte, cosa che se per noi oggi è scontata, non lo era negli anni Quaranta e Cinquanta, quando Hitchcock non era ancora considerato un autore a pieno titolo dai critici americani.

Truffaut ha avuto il merito di contribuire a togliere il maestro del brivido da questa sua limitativa etichetta e lo ha considerato per quello che in effetti era ed è:

un’artista davvero unico, dotato di una personalità fortissima, con una sensibilità in più rispetto alle grandi figure che hanno trasformato Hollywood e il cinema nel vero romanzo del Novecento

scrive Donald Spoto, studioso americano che scrisse una meticolosa monografia su Hitch.

 

[1]   Truffaut 2014, pag 22 = F. Truffaut, Il cinema secondo Hitchcock. Traduzione di G. Ferrari e F. Pititto, Milano 2014 [Edizione originale: F. Truffaut, Le cinéma selon Hitchcock, Paris 1966]

 

Leggi anche:

 

 

Sara Soliman

 

The Birds e la pandemia da Covid-19. Riflessioni sul rapporto uomo-animale nel 40°anniversario della morte di Alfred Hitchcock

The Birds e la pandemia da Covid-19. Riflessioni sul rapporto uomo-animale nel 40°anniversario della morte di Alfred Hitchcock

È di qualche giorno fa il quarantesimo della morte di Alfred Hitchcock (29 aprile1980) conosciuto come l’indiscusso maestro del brivido. 

Il canale de La7, con l’approfondimento condotto da Andrea Purgatori “Atlantide – Storie di Uomini e Mondi”, gli ha dedicato una serata.

Un omaggio ad Alfred Hitchcock, con la programmazione di tre fra i suoi film più noti: Intrigo Internazionale, Notorius e Io ti salverò.

L’introduzione ai film è stata curata da Dario Argento. 

Se, a quarant’anni dalla sua morte, il cinema di Hitchcock vanta un gran numero di estimatori e una miriade di immagini in film ancora oggi amati e studiati da chiunque si cimenti con il cinema, credo che possiamo dire che si è realizzato per Hitchcock quello che egli stesso aveva intuito fin dagli anni Venti: 

Nella mente del pubblico il nome del regista dovrebbe essere associato all’idea di un prodotto di qualità.
Gli attori vanno e vengono, mentre il nome del regista dovrebbe rimanere impresso a chiare lettere nella mente degli spettatori.

I film di Hitchcock possono essere letti a diversi livelli, all’interno di ciascuno dei quali si riscontrano metafore e indizi:

  • un livello cosmico che tratta dell’umanità, 
  • un livello sociale che esplora il potere,
  • un livello individuale che affronta l’individuo sotto il suo aspetto psicologico. 

A dir il vero mercoledì sera ho visto solo il primo dei tre film, Intrigo Internazionale, ma li ricordo tutti benissimo. Li ho visti e rivisti, dal momento che conservo gelosamente l’intera filmografia.

North by Northwest

North by Northwest, del 1959, è un giallo brillante, spettacolare, ironico e dal ritmo serrato, che diverrà fonte d’ispirazione per tutta la serie degli Agenti 007. 

È un film che si basa sullo scambio d’identità, sulla politica immorale, sul ricatto sessuale e sul gioco delle parti. 

North by Northwest

Cary Grant ed Eve Marie Saint in North by Northwest

Il protagonista, interpretato da Cary Grant, è un uomo «ordinario» coinvolto in una situazione «straordinaria».

I fatti narrati nel film sono manifestamente inverosimili, ma quello che permette al pubblico di apprezzare la storia non è la plausibilità o la verosimiglianza dei fatti, ma la concatenazione degli elementi, costruita in modo tale da mantenere sempre viva l’attenzione. 

 

Io ti salverò

Io ti Salverò (Spellbound, 1945) è un film intriso di psicanalisi freudiana.

Ma è da ricordare anche per la meravigliosa scena surrealista del sogno ideata da Salvador Dalí (e contenente anche una citazione dal film Un chien andalou, capolavoro del 1929 di Dalì e Buñuel) voluta dal regista, che puntava a creare una sequenza di grande effetto.

Hitchcock era un grande appassionato d’arte e collezionista di dipinti (amava particolarmente Paul Klee e Van Gogh) e tutto il suo cinema è pervaso da riferimenti alla pittura e all’arte in senso lato.


Notorius

Notorius (L’amante perduta, 1946) è il primo film in cui Hitchcock affronta il tema della colpa, mescolata a un tormentato romanticismo. Sono temi collegati all’esplorazione del lato oscuro della natura umana.

Notorius è il primo capolavoro del periodo americano di Hitch. Il film è una sorta di spy movie incentrato sul triangolo amoroso di tre personaggi, l’agente Delvin, Alicia e Alexander Sebastian, magistralmente interpretati rispettivamente da Cary Grant, Ingrid Bergman e Claude Rains. 

Alcune scene sono da antologia: la carrellata con zoom sulle chiavi nascoste nella mano della Bergman, la suspense elevata all’ennesima potenza nella scena in cantina e l’interminabile bacio finale tra Alicia e Delvin (Cary Grant), l’agente americano che la salva dalla morte per lento avvelenamento.

In Notorius, per la prima volta, il ruolo della madre si modifica in una figura alla quale poter confidare la rabbia, le colpe, il proprio struggimento. 

Così come i due uomini del film rappresentano i due aspetti dei desideri di Hitchcock (l’aspetto passionale e quello represso) allo stesso modo le due donne fondono e confondono i ruoli della moglie e della madre.

 

Covid-19: uomini in casa e animali alla conquista delle città

In questi giorni, Hitchcok è stato richiamato da vari programmi, per una sorta di analogia con il presente, che evidentemente non ho colto solo io.

Sono giorni infatti, dove l’uomo ha fatto un passo indietro. Tra i grattacieli di Milano sono state viste decine di lepri selvatiche, pelo lucido e sguardo intelligente, che si rincorrevano sui prati verdi.

C’è chi ha visto anche tre fenicotteri, al tramonto nei cieli di Milano. 

Un cigno si è accostato alle paratie del Naviglio Grande, chiedendosi forse dove fosse tutta la gente che di solito lo affolla.

In una zona molto industrializzata, dalle parti di San Donato Milanese, sono tornate le cicogne.

Le volpi sono state viste gironzolare per strada nel quartiere Lorenteggio, periferia sud della città.

Un delfino ha fatto innamorare i social: faceva evoluzioni proprio davanti al magnifico Castello di Miramare a Trieste.

Sul Canal Grande a Venezia sono stati visti grandi pesci (cosa che sarebbe normale) ma ora che l’acqua è diventata più trasparente sono visibili, o forse si avvicinano di più alla città mancando il turismo e i vaporetti.

Sempre a Venezia una coppia di Germano reale ha deciso di realizzare il proprio nido sopra un pontile un tempo trafficato.

Coppie di cervi e cerbiatti sono stati visti e ripresi nelle strade dei paesi di montagna.

Insomma, in quesi ultimi mesi, mentre l’uomo è rimasto chiuso in casa per la pandemia, altre specie di animali stanno scoprendo le nostre città.

È come se gli animali si fossero riappropriati di un po’ dello loro spazio a loro tolto.

 

The Birds, quando gli animali (o il virus) prendono il sopravvento sull’uomo

In un suo film Hitchcock racconta le vicissitudini di un gruppo di persone costrette a chiudersi in casa per un invasione di uccelli parecchio aggressivi…di che film sto parlando?

Di The Birds (Gli uccelli, del 1963) sicuramente un altro dei grandi film di Hitch (diminutivo che usiamo noi fan).

Un film che vi consiglio di guardare, se già non lo avete fatto.

E magari in questi giorni, perché no?

The Birds è il suo ultimo grande capolavoro, un film dove vengono rovesciati i codici classici e la dicotomia buono/cattivo, base del cinema americano di quegli anni.

Il regista compie però un ulteriore passo in avanti, inserendo l’ostilità di madre natura, rappresentata dagli aggressivi volatili (i quali incombono minacciosi già dai titoli iniziali), nei confronti dell’inadeguato genere umano. 

Quello che rende il film così accostabile alla nostro momento attuale è il fatto che la rivolta degli uccelli (per analogia il diffondersi del virus) può essere interpretata come la rivolta della natura contro le persecuzioni umane, o anche come una punizione divina per le colpe degli esseri umani, che stanno distruggendo la natura.

Ma il regista, che lascia il finale aperto, potrebbe averci voluto suggerire una via diversa: attaccati dai volatili, gli uomini imparano a essere più umani e più solidali.

Frase che abbiamo sentito e risentito anche in questi giorni.

Il film esemplifica l’idea del regista sulla precarietà dell’esistenza umana: gli uccelli attaccano indiscriminatamente tutti, esattamente come fa il destino nella vita degli uomini, e non sembrano conoscere alcuna pietà.

The Birds e la contrapposizione uomo-animale

Questa nostra umanità, che per vari motivi imprigiona ed ingabbia gli animali, viene a sua volta terrorizzata e chiusa in gabbia da una specie diversa. 

Insomma, è come dire: gli animali non vogliono subire più, si organizzano e deturpano i cittadini di ogni classe sociale ed età. 

Esemplari sono le scene che riguardano l’attacco a Melania: la donna si trova costretta a chiudersi in una cabina telefonica mentre gli animali, nel cielo, sono liberi. 

Un mondo all’inverso, dove gli uccelli, finalmente liberi, non sono più costretti a subire.

il messaggio risulta essere lo stesso: un monito, una punizione, un suggerimento.

Nel film l’attacco alla scuola credo sia significativo e attuale: esiste una vera educazione sulle problematiche reali del rapporto uomo-animale? 

The Birds

The Birds, frame. L’attacco alla scuola

Il film è crudele e inquietante ma, come il mondo della tragedia classica al quale Hitch si è ispirato, il regista lascia un barlume di speranza.

I personaggi sono spinti, proprio in seguito all’attacco, a rivelarsi agli altri e a se stessi in modo più vero e autentico.

Insomma, come l’eroe tragico reagisce davanti alla tragedia o alla sfortuna, anche i protagonisti di Hitchcock, non si lasciano soccombere e vivono la loro personale tragedia come un banco di prova.

L’umanità è forse il più pieno, ma allo stesso tempo il più sfuggente, dei caratteri umani, in quanto corrisponde a qualcosa che è radicato nel nostro essere più profondo.

Aristotele scrive che la compassione porta con sé il sentimento della situazione umana.

Il dolore suscita la capacità di compatire (patire insieme) rendendo comunitario un sentimento solo apparentemente individuale. 

Aperto a ogni tipo di interpretazione (politica, religiosa, sociale,  ecologica), il film è stato letto anche come una parabola cristiana: attaccati dai volatili, gli uomini imparano a essere più umani, più solidali e imparano a volersi bene.

Il sentimento di compassione per il dolore altrui e quello della paura, attraverso la catarsi tragica si rigenerano, trasformandosi in qualcosa di più profondo, in un sentimento di condivisione universale di un destino comune.

È quello che è accaduto anche a noi, stravolti da una pandemia che ci ha trovato impreparati?

Siamo diventati più umani? Abbiamo imparato il rispetto per la natura?

Abbiamo capito che siamo arrivati a un punto di non ritorno e che è necessario fare delle scelte che prendano in considerazione non solo l’uomo, quale essere vivente, ma l’intero creato?

Non lo so, qualcuno cambierà, qualcun altro volterà pagina e archivierà l’accaduto come un brutto periodo, senza trarne insegnamento alcuno.

Per un approfondimento sul mondo di Alfred Hitchcock ti consiglio di leggere:

  • François Truffaut, Il cinema secondo Hitchcock, Il Saggiatore
  • Donald Spoto, Il lato oscuro del genio – La vita di Alfred Hitchcock, Lindau
  • Danilo Arona, Gli Uccelli di Alfred Hitchcock, Un mondo a parte S.R.L

E poi, ovviamente, l’invito è quello di guardare i suoi capolavori.

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Sara Soliman
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Frame: fonte the.hitchcock.zoneThe Hitchcock Zone è una raccolta di siti Web e blog relativi alla vita e alla carriera del regista Alfred Hitchcock. Interessante in quanto contiene ogni singolo frame di tutti i film di Hitch.

Ritorno a “Le donne di Hitch”

Ritorno a “Le donne di Hitch”

Un paio di volte l’anno, come i malesseri stagionali, mi assale il desiderio di immergermi in tutto ciò che riguarda Hitchcock.

Finisco così per rivedere film visti mille volte e sfogliare monografie lette e rilette. Mi piace anche scrivere di Hitch e dei suoi film, e ho deciso di dedicare il mio blog alle “donne di Hitch”, fondamentali per la riuscita del suo cinema.

Hitchcock ebbe la fortuna di lavorare in un periodo ricco di attrici bellissime e raffinate ma anche di talento, binomio non scontato e per niente comune.

Sono donne che mai Hitch avrebbe potuto avvicinare se non fosse stato il più grande regista di tutti i tempi.

E sono donne che hanno brillato nei suoi film o si ricordano perché legate al suo nome.

Il regista, uomo non bello ed eternamente in lotta con il peso, legato a una donna geniale ma come lui per nulla affascinante, idealizzò nei suoi film la donna perfetta, con movimenti di telecamera che sono come carezze, anche se talvolta invadenti.

Le interpreti che sono le protagoniste dei cinquantatre film del maestro sono decine, ma in questo blog mi occuperò solo di quelle attrici che “appartengono” a Hitch più che a chiunque altro.

Mi spiego meglio: sarebbe doveroso occuparsi di artiste quali Maureen O’hara, Marlene Dietrich, Carole Lombard, Tallulah Bankhead, Julie Andrews, Alida Valli, Anne Baxter e  Shirley MacLaine, ma sono stelle che hanno brillato maggiormente con altri registi, e che con Hitch hanno lavorato poco e talvolta in film poco riusciti.

Cercherò di non fare preferenze: certo, alcune di loro le amo più di altre, ma come talento sono tutte sullo stesso piano.

Tutte le attrici veramente hitchcockiane avevano una caratteristica in comune: erano bionde e di pelle chiara, di una bellezza sofisticata (o sofisticata e carnale al tempo stesso, come vedremo) e di una grazia superiore, difficilmente riscontrabile nella realtà, anche in quei tempi. 

È poi noto come Hitch detestasse il tipo di donna troppo carnale come Marylin Monroe o Brigitte Bardot.

Una precisazione: le foto delle attrici sono spesso tratte dai film in cui recitano con Hitchcock (tutti i film si trovano al sito www.thehitchcockzone.com).

Altre volte ho utilizzato vecchie immagini disponibili in rete.

 

Leggi le sezione dedicata a Le donne di Hitch

 

Sara Soliman

Il Monte Rushmore e la «palese profanazione»

Il Monte Rushmore e la «palese profanazione»

La scena sul monte Rushmore è una delle più famose ambientazioni di Hitchcock, la realizzazione di un vecchio desiderio: “celebrare quelle facce gigantesche e impassibili”.

A tal proposito ricordiamo i problemi che Hitchcock ebbe con la censura, proprio per l’utilizzo del Monte Rushmore e la «palese profanazione» ai presidenti americani, tanto che il direttore di un giornale, incollerito, suggerì: «Il signor Hitchcock torni a casa sua in Inghilterra e disegni persone che sgambettano sulla faccia della regina».

«A causa del veto governativo», spiegò più tardi Hitchcock, «ci dissero in maniera tassativa che potevamo solo far scivolare i personaggi fra le teste dei presidenti. Dicevano che dopotutto quello era il santuario della democrazia».

Questo monumento tanto amato dagli americani, deve gran parte del suo fascino alla singolare fusione che in esso si realizza fra creazione umana e paesaggio, fra mondo animale, vegetale e minerale.

«Gli enormi volti scolpiti sfumano nel paesaggio circostante che diviene la loro prosecuzione materiale […].

È come se la civiltà statunitense, non paga di eternare nella pietra i propri ideali, volesse perfino trasformarli in natura» .

Per le riprese in interno il regista si affidò a Robert Boyle (che aveva costruito i set di Sabotatori e Ombra del dubbio) e, nonostante dovettero utilizzare dei modellini al posto delle facce del Monte Rushmore «a condizione che apparissero solo di spalle, o la parte sotto il mento», i due riuscirono a lavorare alle inquadrature in maniera tale da non sacrificare nulla.

Ricorda Boyle: «Nessuno fra i registi con cui avevo lavorato conosceva così a fondo la tecnica cinematografica. Molti ne sapevano abbastanza, ma non avevano la sua capacità. Cercava sempre di esporre i fatti visivamente e non sprecava mai un fotogramma».

Nell’ultima scena Hitchcock beffa genialmente la censura: nuovamente insieme in un vagone letto, Roger abbraccia Eve e, mentre scorrono i titoli di coda, il treno si infila nel tunnel.

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Sara Soliman

L’ombra del dubbio o Shadow of a doubt, film del 1943

L’ombra del dubbio o Shadow of a doubt, film del 1943

Per la prima volta nella sua vita Hitchcock, persona molto riservata, riversò la sua vita nel primo film “autobiografico” della sua carriera.

Il film può essere considerato anche un manuale di tutti gli influssi letterari e culturali sulla sua vita, oltre che una pubblica confessione della profondità della sua angoscia e della sua crisi personale.

Teresa Wright racconta, in un’intervista rilasciata a Daniel Spoto:

Prima di cominciare, lui aveva già visto tutto il film nella mente, era come se avesse in testa una piccola sala di produzione. Quando, nel giugno del 1942, la prima volta che ci incontrammo nel suo ufficio, mi raccontò la storia, era come stare al cinema a guardare il film intero.
Perciò, mentre si girava, ci faceva sentire molto rilassati. Quando non dirigeva non sembrava desse istruzioni; sentivamo di poterci fidare di lui e lui ci guidava, dandoci un senso di libertà. […] Nessuno pianifica un film in modo così totale come faceva lui, nessuno ha le idee così chiare sin dall’inizio come lui.

Ricordava anche i giochi di parole e le freddure con cui Hitchcock era solito divertire la troupe.

Tutto era studiato e pianificato nei minimi particolari, dal rumore dei passi nella notte al tambureggiare delle dita, che non era un tambureggiare qualsiasi, aveva un ritmo, un certo schema musicale, un ritornello. Usava il sonoro come nessun’ altro.

Il personaggio interpretato da Cotten è un uomo con cui Hithcock si identifica chiaramente: nella sceneggiatura è descritto come «meticoloso e terribilmente ordinato», come Hitchcock era fiero di essere.

Da bambino, Charlie ebbe un incidente identico a quello che ebbe Hitch da piccolo e, nel film, la descrizione è quella del piccolo Alfred: «Era un bambino tranquillo, stava sempre a leggere» dice la sorella.

Anche i sentimenti di quel cattivo raffinato erano gli stessi del regista: nostalgia del passato e disprezzo del presente, che ritroviamo nelle parole di Charlie:

Tutti erano gentili e carini allora. Il mondo intero lo era. Un mondo meraviglioso. Non come il mondo di oggi, non come il mondo di adesso. Era bello essere piccoli allora.

Tuttavia, oltre ad assimilarsi con l’elegante strangolatore (lo strangolamento è sempre il modo di uccidere preferito dagli assassini di Hitchcock), il regista si identificava anche nei bambini di casa: la ragazzina è una divoratrice di romanzi romantici (c’è un preciso riferimento a Ivanhoe, di cui Hitch conosceva a memoria ampi versi) e al bambino piace interrompere le discussioni degli adulti con qualche problema di logica.

La madre, sorella del cattivo, è la reincarnazione della madre del regista: porta lo stesso nome, ha sentimenti contrastanti, sensi di colpa e esternazioni alternate di amore e rancore.

Ma sono i due Charlie che svelano il lato palese e di quello oscuro della natura adulta di Hitchcock, rappresentati dalla mostruosità dello zio e dall’innocenza della nipote, ingenua, fiduciosa e felice di portare lo stesso nome dello zio che ammira.

Esiste insomma, tra i due, un legame molto forte:

«Noi non siamo zio e nipote soltanto. È molto diverso. Io ti conosco. So che non ami parlare troppo alla gente. E io nemmeno […]. Siamo una specie di gemelli noi due, no?»

dice Teresa Wright nei panni di Charlie.

Come scrive Spoto, Alfred Hitchcock era in realtà entrambi i Charlie, la raffigurazione dell’aforisma di Montaigne:

«Siamo doppi in noi stessi, tanto che crediamo in ciò che aborriamo e non riusciamo a liberarci di ciò che condanniamo».

Il film rappresenta dunque una chiave per comprendere la complessa vita interiore del regista, con una griglia di simbolismi utili a fare luce sui rapporti con la sua famiglia, con il suo io spaccato in due e con la cultura da cui si era allontanato.

La divisione dell’animo di Hitchcock si esprime in una lunga serie di doppi: i due Charlie, i due detective che lo seguono, due donne con gli occhiali, due criminali ricercati, le due scene a tavola, le due scene fuori dalla chiesa e le due scene alla stazione, i due medici, i due doppi brandy serviti da una cameriera che lavorava da due settimane al bar Till Two, due scene nel garage, e così via.

Il dualismo è anche nell’uso della macchina da presa, nel modo in cui il regista presenta zio e nipote: campo lungo delle rispettive città, poi l’esterno della casa, la finestra, poi un carrello lento di ognuno mentre si trova in camera, sul letto e vestito.

È una presentazione secondo punti di vista paralleli.

In finale, la morte dello zio Charlie, rappresenta il tentativo, per il regista, di sciogliere quella tensione che animava il suo essere duplice.

Da sempre Hitchcock conviveva con fantasie assassine romantiche e gotiche, con sogni erotici ad occhi aperti mai soddisfatti e con i demoni della lussuria e della gelosia.

Sapeva di essere spesso tirannico con gli attori, talvolta imprevedibile e volubile, ma anche capace di improvvisi e inspiegabili gesti di gentilezza (come, ad esempio, l’auto regalata alla sua cuoca, il sostegno finanziario a una parente in difficoltà o una lettera per aiutare qualcuno in cerca di lavoro).

Hitchcock aveva scoperto a scuola il tema del doppio, importante convenzione delle storie tardo vittoriane.

Tra le sue letture non mancano «Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde» (1886) di Robert Louis Stevenson e «Il ritratto di Dorian Gray» (1891) di Oscar Wilde, dove il bene e il male sono chiaramente distinti ma intercambiabili e le debolezze umane sono spesso in contrasto con il senso del dovere.

Sia Stevenson che Hitchcock hanno subito la repressione puritana ed entrambi hanno rievocato immagini dello squallore puritano dell’epoca tardo vittoriana, che non consentiva di condurre una vita pubblica onorata e una vita privata felice allo stesso tempo.

Hitchcock pensava che la vita sociale fosse una gigantesca ipocrisia e «si portava addosso il peso di un travestimento come tutti i suoi affascinanti cattivi e lo sforzo di apparire elegante nascondeva il segreto infantile di una seconda vita, nascosta e immaginaria».

 

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Sara Soliman

 

 

 

Perché un altro blog su Alfred Hitchcock?

Perché un altro blog su Alfred Hitchcock?

Perché un altro blog su Hitchcock?

Questo blog nasce con lo scopo di mettere a disposizione le mie ricerche a un pubblico appassionato del cinema di Hitchcock, del film giallo e del cinema d’autore.

Ma il desiderio più profondo è quello di rileggere il cinema di Hitchcock e sottolineare ancora una volta la maestria di un uomo che non fu solo uno dei più grandi registi del ventesimo secolo ma rappresenta, in un certo senso, un fenomeno culturale, tanto che il termine hitchcockiano viene usato oggi per descrivere coinvolgimento, suspense, mistero, e uno stile visivo minimalista che suscita l’immaginazione nel pubblico.

Nonostante sia un regista di cui si è scritto e parlato molto, si corre ancora il rischio di non cogliere l’eterogeneità delle letture proposte dai suoi film.

Si cercherà di cogliere dunque, senza alcuna pretesa di esaustività, la complessità dell’universo hitchockiano:  una complessità spesso mascherata dai meccanismi di seduzione, dalla perfezione della suspense e dall’ironia diffusa in ogni suo lavoro, oltre che dall’eleganza della messinscena, specchio di una Hollywood che non esiste più.

Mio intento è anche quello di approfondire il rapporto che Hitch aveva con le donne, la moglie in primis ma soprattutto le bellissime attrici di cui si circondava.

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Sara Soliman

 

James Stewart come alterego di Hitch

James Stewart come alterego di Hitch

Nel film James Stewart è il perfetto ed evidente alter-ego di Hitchcock.

Le domande inquisitorie di un uomo che cerca non solo di risolvere un mistero e salvare una donna, ma anche esercitare il controllo, corrispondono alle lunghe riunioni private che Hitchcock aveva tenuto con le sue attrici preferite: Madeleine Carroll, Joan Fontaine, Ingrid Bergman, Grace Kelly e Vera Miles e che avrebbe raggiunto il suo apice con la sua ossessione per Kim Novak.

Vertigo è l’analisi più profonda offerta di Hitchcock sulle forze opposte, il tema del doppio viene qui dipinto come scontro di impulsi contrari (che derivano dal ciclo vergogna-paura-colpa) ma anche come attrazione-repulsione verso la bellezza di un’attrice del cinema, che altro non è che un’illusione.

L’attrice rappresenta per il regista l’oggetto di inganno e desiderio, come emerge nelle scene in cui Stewart si avvicina alla donna dopo averla riconosciuta: gli impulsi sono di tipo sessuale, ma i gesti sono ghiacciati dalla paura; il personaggio fa esattamente ciò che Hitchcock aveva fatto con le attrici che amava di più.

D’altro canto, la bellezza delle sue attrice è uguale solo alla loro freddezza, divenuta sinonimo di donna hitchcockiana.

Un aspetto da sottolineare è la scelta, da parte del regista, di discostarsi dal libro anticipando a circa mezz’ora dalla fine la soluzione della storia.

La confessione anticipata della protagonista appare quasi una scena inserita frettolosamente (anche se non è cosi) per informare lo spettatore, che però in questo modo si perde la suspense creata dall’inizio del film.

Allo spettatore non resta che concentrarsi maggiormente sulla figura doppia della protagonista, staccandosi così da quella del protagonista, che vediamo agire in modo sempre più ossessivo e feticista.

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